Con due circolari diffuse lo scorso 21 marzo, la n. 4 e la n. 5 del 2019, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti su alcune problematiche che si possono riscontrare in sede di accertamento, laddove il contribuente vanti taluni “asset” fiscali utili ad abbattere in tutto o in parte la pretesa impositiva derivante dall’accertamento.
Si tratta infatti di situazioni in cui, pur non essendo in contestazione la spettanza di tali “asset” sotto l’aspetto sostanziale, nella pratica i contribuenti possono riscontrare ostacoli di tipo procedurale al loro utilizzo in sede di accertamento.
Opportunamente, pertanto, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta per chiarire agli Uffici le modalità con cui può essere riconosciuto l’utilizzo di tali “asset” in compensazione totale o parziale dei maggiori imponibili o delle maggiori imposte accertate.
La circolare n. 4 si occupa specificamente di due temi: (i) lo scomputo delle perdite pregresse, nella fattispecie particolare in cui, nella dichiarazione dei redditi, il contribuente abbia utilizzato perdite in misura inferiore all’ottanta per cento del reddito imponibile per usufruire di crediti d’imposta, ritenute, acconti o eccedenze; (ii) la detrazione del credito d’imposta estero.
La circolare n. 5, invece, si occupa dell’utilizzo dell’eccedenza di ACE.
Lo scomputo delle perdite pregresse in presenza di utilizzo di crediti d’imposta
In generale, il contribuente che abbia la disponibilità di perdite fiscali pregresse può fare richiesta che tali perdite vengano computate in sede di accertamento a compensazione del maggior imponibile accertato, sempre nell’ordinario limite dell’ottanta per cento dell’imponibile stesso.
Può accadere che, in sede di dichiarazione, il contribuente non abbia utilizzato perdite pregresse fino al limite consentito dell’ottanta per cento del reddito imponibile, ad esempio per usufruire di crediti d’imposta, ritenute, acconti o eccedenze in misura tale da azzerare il debito d’imposta sul residuo imponibile non compensato dalle perdite.
In tale ipotesi, la circolare chiarisce che, in sede di accertamento, il contribuente possa fare richiesta – tramite gli ordinari modelli IPEC (per la società consolidante) o IPEA (per le società fuori da consolidato fiscale) – per lo scomputo delle perdite pregresse fino ad un importo massimo dell’ottanta per cento del totale reddito imponibile accertato dall’Ufficio, come se quel reddito fosse stato dichiarato sin dall’origine dal contribuente.
Ne consegue, ed in questo sta il chiarimento più importante della circolare su questo punto, che è possibile anche una compensazione integrale del maggior imponibile accertato, pur sempre nei limiti dell’ottanta per cento del reddito complessivo, come dimostra l’esempio numerico riportato nella circolare stessa.
La detrazione del credito d’imposta estero
La circolare prende atto che la norma di riferimento (art. 165, comma 7, TUIR) disciplina l’ipotesi in cui il contribuente subisca un accertamento di maggiore imposta nel Paese estero della fonte del reddito, regolandone le conseguenze dal punto di vista del calcolo del credito d’imposta estero spettante in Italia; ma non disciplina, invece, l’ipotesi inversa di un accertamento in Italia che, aumentando il reddito imponibile e quindi l’imposta dovuta in Italia, aumenta la capienza per l’utilizzo del credito d’imposta estero.
La circolare interviene, pertanto, per chiarire opportunamente che, qualora il contribuente disponga di eccedenze di credito d’imposta estero riportate a nuovo ai sensi dell’art. 165, comma 6, del TUIR, tali eccedenze potranno essere utilizzate in detrazione della maggiore imposta dovuta a seguito dell’accertamento.
Sotto il profilo procedurale la circolare limita tale possibilità al caso in cui sia stato instaurato un procedimento di accertamento con adesione, ritenendo che il contraddittorio tra l’Ufficio e il contribuente sia la sede idonea per poter valutare la possibilità di ricalcolo della detrazione del credito d’imposta estero.
Questa limitazione non appare interamente giustificata, in quanto non si ravvisano insuperabili motivi per negare la stessa possibilità – eventualmente subordinandola alla presentazione di un’apposita richiesta da parte del contribuente, similmente a quanto avviene per le perdite pregresse con i modelli IPEC e IPEA – anche al di fuori di un procedimento di accertamento con adesione.
Lo scomputo dell’eccedenza di ACE
In via preliminare è appena il caso di ricordare che la legge di Bilancio 2019 ha abrogato la disciplina dell'ACE, con decorrenza dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, facendo salva la possibilità di scomputare l'eccedenza di ACE del periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2018 dal reddito complessivo netto dei periodi d'imposta successivi.
Ciò posto, una problematica per molti aspetti analoga alle precedenti – ma curiosamente trattata in una circolare separata – è quella dello scomputo, in sede di accertamento, dell’eccedenza di ACE eventualmente disponibile per il contribuente.
Anche in questo caso, analogamente all’ipotesi dello scomputo delle perdite pregresse, la circolare valorizza il principio del ripristino della situazione che si sarebbe avuta laddove il contribuente avesse dichiarato ab origine il reddito imponibile nella misura corretta e, conseguentemente, ammette la possibilità di scomputare le eccedenze di ACE eventualmente disponibili dal maggior imponibile accertato dall’Ufficio.
Anche in questo caso, tuttavia, la circolare limita questa possibilità alla sola ipotesi in cui sia stato instaurato un accertamento con adesione, precisando ulteriormente che l’Ufficio dovrà avere cura di verificare la spettanza nel merito dell’eccedenza di ACE scomputabile e che questa non sia già stata utilizzata dal contribuente nei periodi d’imposta successivi a quello oggetto di accertamento, cosicché risulti ancora disponibile al momento in cui si addiviene all’adesione e sia scongiurato il pericolo di duplicazioni. Ulteriori chiarimenti riguardano, infine, lo scomputo dell’eccedenza di ACE per i soggetti aderenti al consolidato fiscale.
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